La storia nei secoli

Figura 1 – Foto antica del centro abitato

L’origine di Upega non è nota. Si tratta verosimilmente di una fondazione ad opera di abitanti di Briga che si spostavano alla ricerca di nuovi pascoli da sfruttare e di nuovi terreni da coltivare, prima stagionalmente e poi stabilmente. Secondo un’antica tradizione, l’insediamento abitativo di Upega sarebbe stato originato dalla caparbietà e dal coraggio di una donna di Briga che aveva trascorso l’inverno sul luogo, nonostante le difficoltà legate alla stagione. In primavera, i suoi compaesani l’avrebbero trovata in ottima salute -contrariamente alle loro previsioni- e così avrebbero deciso di fondare Upega. Secondo la tradizione, la prima casa fu costruita in località Masachìn, a circa un chilometro dall’attuale abitato, a ovest, nei pressi della località Madonna della Neve. L’insediamento abitativo attuale non è databile con certezza ma si può pensare che risalga almeno al secolo XVIII.

Le nascite documentate per Upega partono dal 1625 ma diventano regolari solo dal 1648. Uno dei documenti più antichi che attestano l’esistenza di costruzioni in loco risale al 1642 ma non è certo se si tratti di costruzioni abitate ancora stagionalmente o già in modo stabile. Il paese è situato fra due valloni che lo proteggono dalle valanghe, il rio Žnigg‘ a ovest e il Rio Bëlùn, a est.

Tutto il terreno circostante, esposto a solatìo, con un’opera straordinaria di disboscamento e di terrazzamento, è stato strappato alla montagna per poter essere coltivato (fig. 1). La popolazione, che ha raggiunto il massimo sviluppo intorno alla metà dell’Ottocento (oltre quattrocento persone), era formata da contadini (che erano anche allevatori stanziali di bovini) e da pastori di ovini transumanti che in inverno raggiungevano le località costiere della Liguria di Ponente (in gran parte comprese tra Imperia e Finale Ligure). La partenza avveniva nel tardo autunno, di solito ai primi di novembre, e raggiungeva le località prescelte seguendo itinerari praticati da tempo immemorabile. In primavera le greggi facevano ritorno in paese, fino al momento di salire agli alpeggi, ai primi di luglio, da cui ridiscendevano a settembre (fig. 2). 

Nella stagione invernale, tra i non pastori, molti si recavano in Francia a cercare lavoro come braccianti, giornalieri od operai nei frantoi da olive della Provenza. Anche le donne emigravano in cerca di lavoro, impiegandosi soprattutto come collaboratrici familiari, ruolo nel quale erano particolarmente apprezzate (fig. 3). A questi motivi è dovuta la presenza in Francia (specialmente nella Regione del Var) di molte famiglie originarie di Upega che mantengono tutt’oggi un forte attaccamento al paese d’origine. L’economia di autosussistenza si basava sulla produzione di cereali quali grano, segale, orzo (coltivati fino a livelli altimetrici notevoli e macinati sul posto nel mulino comune), di legumi come lenticchie e piselli, di patate e, in misura minore, di ortaggi come aglio, cipolle, cavoli, porri, sedani. Notevole era la produzione di latte, burro, formaggio ed altri prodotti caseari. Alcuni venivano scambiati con generi di necessità non presenti sul territorio, come il sale, il vino e l’olio (importati dai vicini centri liguri di Cosio d’Arroscia o Mendatica). Il vino e l’olio venivano trasportati a dorso di mulo o a spalla in otri di pelle di capra. Una fonte di modesto reddito aggiuntivo era costituita dal miele (nelle immediate vicinanze dell’abitato si trovavano, fino agli anni Quaranta del Novecento, molti apiari (fig. 4), la cui produzione è sopravvissuta fino ai giorni nostri. Fiorente era anche la produzione di tessuti in lana e canapa che copriva il fabbisogno interno per la confezione di abiti, biancheria e coperte (ancora nella seconda metà del secolo XIX, in atti custoditi nell’Archivio Parrocchiale, compaiono diversi casi di persone la cui attività è quella di tessitore). In paese e nelle immediate vicinanze sono esistiti nei secoli ben tre folloni ad acqua, laboratori per l’infeltrimento dei tessuti destinati alla confezione di capi particolari (fig. 5). In questi folloni venivano portati a trattare i tessuti anche dalle località vicine, addirittura da Mendatica, in Alta Valle Arroscia (IM). A Upega sono state in funzione anche due segherie che consentivano di ricavare  assi per falegnameria dai tronchi abbattuti nei boschi circostanti: la prima, di cui esiste ancora qualche rudere, è stata in funzione fino agli anni Quaranta del secolo scorso; la seconda, oggi scomparsa, fino agli anni Settanta. In paese non esisteva di solito specializzazione artigianale, in quanto ogni famiglia era in grado di provvedere al proprio fabbisogno in modo autonomo. Dalle testimonianze scritte e orali in nostro possesso, risultano nel secolo XIX solo un fabbro, un falegname e un calzolaio.

In paese si trovava una rivendita di sale, tabacchi e generi alimentari, documentata dai primi del Novecento, che è rimasta attiva fino al 1940 circa. Il negozio, cambiata sede e gestori, ha chiuso definitivamente nel 1993. A Upega esisteva anche un’ osteria, frequentata da avventori di passaggio che potevano trattenersi in paese anche alcuni giorni, per motivi di lavoro o di svago: commercianti di bestiame, distillatori di lavanda, artigiani, venditori ambulanti, cacciatori, escursionisti. L’osteria più antica, la cui attività è documentata con certezza nella seconda metà dell’Ottocento, si trovava all’inizio del paese. Successivamente, l’osteria venne trasferita poco distante e rimase attiva fino al 1972, crollando parzialmente a seguito di una valanga. Nel 1965 era stato aperto anche il “Bar Edelweiss” che nel 1971 divenne anche albergo, rimasto attivo fino alla fine degli anni Novanta. Da ricordare in paese anche la distillazione della lavanda per ricavarne l’olio essenziale, molto ricercato in cosmesi. I fiori, che crescevano spontanei nei dintorni dell’abitato e nella campagna, venivano raccolti tra luglio e agosto e stoccati in locali asciutti, adatti allo scopo (fig. 6). La distillazione avveniva, a cura di incaricati, per conto di alcune ditte con sede fuori paese, tra cui si ricordano principalmente la “Niggi” di Imperia e la “Gastaldi” di Cosio d’Arroscia (IM). Solo una famiglia di Upega, gli Alberti, distillava in proprio la lavanda, acquistandola dai compaesani e vendendo l’essenza ricavata alle ditte sopraccitate. Il prezzo della lavanda veniva normalmente concordato fra la ditta e la famiglia degli Alberti ma non di rado accadeva che la ditta facesse una concorrenza sleale alzandolo. La raccolta della lavanda e la sua distillazione sono cessate definitivamente verso la fine degli anni Cinquanta del secolo scorso. In paese arrivavano anche venditori ambulanti provenienti dalla vicina Liguria, a piedi o a dorso di mulo: venditori di rosari e stampe sacre e venditori di uva, pesche e fichi. Dopo il 1951, anno di apertura della strada carrozzabile, hanno fatto la loro comparsa venditori ambulanti e artigiani che raggiungevano Upega con mezzi a motore: fabbricanti e impagliatori di sedie, arrotini, ombrellai, venditori di casalinghi e pescivendoli, venditori di stoffe, vestiti e biancheria. Upega era frequentata anche da calderai e artigiani del rame e da una straccivendola.

Fino al 1951, i collegamenti con i centri abitati frequentati dagli Upeghesi erano difficili a motivo delle distanze e dei percorsi impervi per raggiungerli. Per recarsi a Briga, sede del Comune, occorrevano cinque ore di marcia, mentre per raggiungere Ponte di Nava bisognava attraversare il Passo delle Fascette, praticabile solo a piedi e non senza rischi. I trasporti venivano effettuati normalmente a dorso di mulo e perciò le mete erano obbligate in base alla brevità del percorso e alla transitabilità per gli animali (fig. 7). Per questo motivo i centri più frequentati erano Mendatica (che si raggiungeva attraverso Piaggia) e Cosio d’Arroscia (che si raggiungeva attraverso il Passo Colla Bassa), in Liguria. Nonostante il suo isolamento, Upega è stata frequentata da escursionisti, commercianti e cacciatori fin dall’Ottocento, a motivo della bellezza del paesaggio naturale e dell’abbondanza della selvaggina. A Upega è sempre esistita la scuola elementare, gestita di solito dal Parroco e, dagli anni Trenta del secolo scorso, da maestri provenienti da fuori paese (fig. 8 e 9). Dagli anni Sessanta, la scuola è stata di tipo “sussidiato”, cioè gestita dal Comune che ne stabiliva orario e calendario.

Soppressa nel 1972, è stata riaperta dal 1981 al 1990, anno in cui è stata definitivamente chiusa. Nel 1951 venne aperta la nuova strada carrozzabile di collegamento con 

Viozene e Ponte di Nava, ad opera della ditta “Feltrinelli” in cambio di enormi quantità di legname ricavato dal “Bosco Nero”. La nuova carrozzabile favorì i contatti con l’esterno ma, paradossalmente, anche lo spopolamento. Da allora si assiste infatti ad una progressiva diminuzione degli abitanti stabilmente residenti in paese, con il trasferimento definitivo di molte famiglie e la permanenza solo stagionale di altre. Oggi Upega conta una decina di abitanti che risiedono stabilmente in paese. Il 19 Luglio 1973 arriva a Upega la luce elettrica che fino ad allora era stata prodotta, a partire dagli anni Trenta fino agli anni Cinquanta, da una locale centralina elettrica che però, a causa della turbina dell’impianto ormai obsoleta, riusciva a malapena a garantire l’accensione di lampadine per l’illuminazione domestica a bassissimo voltaggio, per cui era necessario integrare l’illuminazione con candele o lampade a gas. Oggi Upega conosce un momento di particolare vitalità: grazie alla Società “Lagarè s.r.l.” che nel 2014 si è fatta promotrice e finanziatrice dell’iniziativa, ha potuto essere aperta una locanda con camere nei locali dell’ex Albergo “Edelweiss”; nell’antica “Casa del forno”, ora di proprietà comunale, si trova il Rifugio “La Porta del Sole” attrezzato per il pernottamento e, in prossimità del paese, il Campeggio “Saradìn”. L’Associazione “Pro Loco Upega”, che opera da un cinquantennio, promuove ed organizza manifestazioni culturali, gastronomiche e ricreative; l’ “Associazione Fondiaria Upega”, costituitasi nel 2013, con i proventi derivanti dall’affitto dei pascoli di privati consorziati preserva il territorio montano a pascolo e promuove l’immagine del paese attraverso il ripristino di strutture architettoniche storiche di interesse ambientale e culturale, oltre che con la pubblicazione di opere a carattere divulgativo che favoriscano la conoscenza della storia e della cultura locali.

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